
Un team di ricercatori del centro Enea di Bologna sta mettendo a punto una soluzione per la contaminazione dell’acqua dai PFAS, sostanze inquinanti particolarmente persistenti e molto diffuse nelle falde e nei corsi d’acqua.
L’inquinamento da parte dei PFAS interessa tutti i principali paesi industrializzati, poiché la loro fonte principale sono residui di lavorazioni di industrie, principalmente chimiche, elettroniche e tessili.
In Italia la loro presenza è stata riscontrata anche nelle acque destinate all’uso civile (in particolare nei bacini idrici del Po, dell’Adige, del Brenta, dell’Arno e del Tevere), oltre che negli alimenti e nei mangimi zootecnici. Si tratta di sostanze molto solubili, che penetrano nel terreno dei siti produttivi e inquinano l’acqua rendendola non potabile anche con concentrazioni minime.
L’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha recentemente stabilito la soglia massima in 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo (dose settimanale tollerabile di gruppo).
Plasmi elettronici
I PFAS sono caratterizzati dal legame chimico fluoro-carbonio, estremamente stabile. Le tecnologie di depurazione oggi disponibili sono molto poco efficaci; perciò, i PFAS sono praticamente impossibili da eliminare. Per questo motivo i ricercatori di ENEA stanno lavorando a un’applicazione della tecnologia basata sull’uso di un fascio di elettroni di energia controllata, in grado di spezzare il legame chimico.
L’uso dei plasmi elettronici consente di trattare grandi volumi d’acqua in tempi contenuti, anche in continuo, ma la sua limitazione pratica è legata alla scarsa penetrazione del fascio nell’acqua, nell’ordine di pochi centimetri. Attualmente la ricerca è concentrata sulla soluzione di questo problema, che permetterebbe di abbattere notevolmente i costi d’esercizio degli impianti di depurazione.


Sotto l’azione di fasci di elettroni di alta energia accelerati da alta tensione, nell’acqua si creano specie chimiche altamente reattive in concentrazione elevata, che permangono per pochi millisecondi ma che possono comunque degradare numerosi inquinanti, compresi i PFAS. In questo caso il risultato è la formazione di fluoruri che, sebbene siano anch’essi degli inquinanti, sono più facili da trattare e da abbattere. L’efficienza di conversione della potenza in ingresso della nuova applicazione raggiunge il 95%, contro il 30% ottenuto nelle lampade UV.