Uno scenario macroeconomico instabile, un quadro normativo scettico nei confronti degli incentivi edilizi, un comparto impiantistico con prospettive di rilancio incerte sono alcune delle problematiche che le aziende del settore idrotermosanitario devono affrontare per tenere il passo e poter crescere. Come? Cogliendo le sfide della trasformazione digitale in atto e adottando un approccio manageriale diverso, in grado di valorizzare soprattutto il capitale umano
Dopo l’euforica stagione vissuta nel periodo post-pandemia, grazie al meccanismo dei bonus edilizi, il mercato idrotermosanitario sta affrontando una brusca fase di arresto, caratterizzata da cali di fatturato generalizzati e previsioni a medio e lungo termine di grande incertezza. A fare il punto della situazione è stato il XXV Convegno Angaisa Strategie di crescita in un mercato instabile, tenutosi lo scorso novembre a Milano, che ha fornito ai professionisti del settore spunti utili per superare le difficoltà del momento e tracciare nuovi percorsi.
Attività istituzionali
A dare il via al convegno Strategie di crescita in un mercato instabile, è stato Maurizio Lo Re, presidente Angaisa, che ha parlato degli obiettivi dell’associazione e delle attività promosse per migliorare le competenze delle aziende associate. Lo Re si è soffermato, nello specifico, sui vantaggi del servizio Nodo B2B Angaisa, che consente lo scambio digitale di documenti tra partner commerciali, e sull’adesione a Etim Italy, rete d’impresa per la digitalizzazione dei prodotti del settore edile, elettrico e idrotermosanitario secondo lo standard internazionale ETIM per la classificazione dei prodotti tecnici. Il presidente, inoltre, ha ribadito l’importanza dell’azione sinergica tra le associazioni di categoria della filiera impiantistica nel promuovere la sostenibilità ambientale e l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio italiano, ancora poco green.
La situazione economica italiana, tra alti e bassi
In merito alla congiuntura economica, Mariano Bella, direttore Ufficio Studi Confcommercio, ha presentato un aggiornamento degli episodi ciclici dei livelli del PIL, soffermandosi sulla crescita del 4,4% avvenuta tra giugno 2019 e agosto 2022 e su quella dello 0,6% tra settembre 2022 e novembre 2024. «In 27 mesi abbiamo ricominciato a strisciare e la crescita del debito pubblico non è finita: da qui al 2027 dovremo ancora contabilizzare circa 140 miliardi di euro. Questo fatto non deve però inquinare la memoria di un episodio positivo in cui la buona cooperazione ha fornito risultati eccellenti, anzi è da lì che dovremmo progettare le nostre strategie sul futuro».
L’economista ha poi smontato i presunti “misteri” relativi all’occupazione, secondo alcuni cresciuta in modo eccessivo alla variazione del PIL, e ai consumi che non crescono.
«Sul piano congiunturale, è vero, dalla metà dello scorso anno il circuito reddito-fiducia-consumi si è inceppato; in questo momento in Italia manca la spinta sui consumi delle famiglie» ha confermato Bella. «Se però utilizzo l’idea, fondamentale in economia, che i consumi e le loro determinanti vanno d’accordo nel lungo periodo e misuro le variabili per famiglia – reddito disponibile, ricchezza finanziaria e immobiliare – tra l’ultimo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2024, osservo che il reddito disponibile è sì negativo (-1,5%) ma la ricchezza finanziaria è cresciuta in termini reali (+4%); il crollo purtroppo c’è stato sull’immobiliare (-8,9%) che ha delle difficoltà. Se poi considero l’impatto che queste variabili hanno nel determinare il consumo di oggi, stimo una variazione del -1,4% dal 2019 al 2024 rispetto a un osservato del -4,1% per famiglia». A tutto ciò manca l’incremento dei tassi di interesse reali che determina un’ulteriore perdita di consumi aggregati di sette decimi di punto, che sommati a -1,4% porta a una stima finale di -2,1% (sempre contro un osservato di -4,1%).
Dal ragionamento del direttore Ufficio Studi Confcommercio emerge che, se non ci dovessero essere nel futuro prossimo shock negativi particolari, avremmo tutti i presupposti per una ripartenza dei consumi e per irrobustire la crescita. «Ora avremmo bisogno di togliere il freno a mano del tasso d’interesse; l’inflazione è sostanzialmente abbattuta e, se non dovesse succedere nulla al Misery Index, che oggi è ai minimi, ci sono tutti i presupposti per risuscitare i consumi».
Bella ha proseguito prendendo in considerazione alcune grandezze del quadro macroeconomico, un po’ distante dagli obiettivi del governo (1% in termini di PIL nel 2024 e 1,2% nel 2025; 0,5 in termini di consumi) e ha concluso il suo intervento parlando della formula del debito pubblico: «Avremo un problema piuttosto serio proprio in tema di raggiungimento del fondamentale target di riduzione del rapporto deficit/PIL nel 2026 sotto il 3%». Le prospettive sono dunque difficili ma non impossibili per l’economista, secondo il quale energie e risorse non mancano.
A ragionare sull’andamento dell’economia italiana è stato poi Carlo Cottarelli, professore di macroeconomia e politica fiscale dell’Università Cattolica di Milano, che si è soffermato sui dati trimestrali della crescita. «Partendo dall’ultimo trimestre del 2022, il primo di questo governo, fino al secondo trimestre del 2024, crescevamo più o meno come l’area dell’euro ma nell’ultimo trimestre abbiamo subito una battuta di arresto». Quest’ultima potrebbe essere temporanea o forse, secondo il docente, potrebbe essersi esaurito l’effetto di spinta dei soldi arrivati prima dalla Banca Centrale Europea e poi dal PNRR. In generale, per Cottarelli, non c’è ancora segno che il PNRR abbia determinato un cambiamento nella crescita dell’economia. «Il Piano ha sicuramente aiutato la ripresa ma il suo obiettivo era quello di aumentare la capacità di crescita potenziale, permanente e strutturale dell’economia italiana portandola verso il 2%».
In merito alla Legge di Bilancio 2025, il professore ha dichiarato che non ci sono grandi cambiamenti rispetto al 2024: «il rapporto tra spesa pubblica e PIL resta al 50,4%; sul lato delle entrate c’è un miglioramento che non è dovuto a un aumento della pressione fiscale, anch’essa invariata. Ci sono però due aspetti positivi: si è reso strutturale il taglio del cuneo fiscale e, dal punto di vista dei conti pubblici, nel 2024 le entrate sono andate molto meglio del previsto (circa dieci di miliardi in più). E sulla politica adottata dal governo sul fronte di bonus e incentivi edilizi? «Non c’è dubbio che ci fosse la necessità di bloccare i bonus edilizi, che sono stati troppo generosi in termini di sconto e sono costati troppo, complessivamente 240 miliardi, quasi tutta la spesa sanitaria di due anni», ha affermato il docente. «La concentrazione di troppe risorse in un solo settore, inoltre, ne causa un surriscaldamento, determinando la creazione di imprese che sono in vita soltanto perché c’è un’enorme iniezione di liquidità».
Il professore ha concluso il suo intervento ponendo l’attenzione sulla formazione, e più in generale, sulla spesa per l’istruzione e la ricerca, ovvero l’investimento in capitale umano.
Efficienza energetica e digitalizzazione, le sfide
Nel delineare il quadro del mercato dell’efficienza energetica, Vittorio Chiesa, professore di Gestione strategica di imprese e direttore Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, ha fatto riferimento al testo definitivo del Piano Nazionale integrato Energia e Clima (PNIEC), che contiene gli obiettivi che l’Italia dovrà raggiungere in risposta ai target più stringenti introdotti nel contesto Fit For 55. «Si tratta di obiettivi baricentrati sui pilastri del tema della decarbonizzazione, ovvero riduzione delle emissioni, incremento della quota di energie rinnovabili ed efficienza energetica» ha dichiarato Chiesa.
Qual è l’andamento dei consumi attesi per l’Italia dal punto di vista dell’energia primaria e dell’energia finale? «Da piano abbiamo un target di raggiungimento dei consumi finali di 102, anche se in realtà il numero a cui l’Europa ci chiederebbe di arrivare è 93,05 Mtep. La sfida è sicuramente importante: siamo in una condizione strutturale di riduzione dei consumi, a cui contribuiscono proprio gli interventi di efficienza energetica».
Il settore da cui aspettarsi la maggior parte dello sforzo è il residenziale (52%), seguito da terziario (19%), industria (16%) e trasporti (13%), mentre, tra gli strumenti di incentivazione di cui il Paese dispone, un contributo importante è dato dall’effetto delle detrazioni fiscali, seguito dai certificati bianchi.
Per quanto riguarda gli investimenti complessivi in efficienza energetica effettuati in Italia nel 2023, sono stati guidati dal Superbonus: nel residenziale la stima è tra i 55 e i 59 miliardi di euro, tra industria e terziario poco meno di 30 miliardi mentre la Pubblica Amministrazione, nonostante il suo enorme potenziale, continua a registrare un investimento molto limitato (2,5/3 miliardi di euro). «Veniamo da un triennio dove di fatto il mercato è stato fortemente guidato da questo tipo di traiettoria. Se all’effetto del Superbonus sommiamo quello dell’Ecobonus e del Bonus Casa, possiamo stimare che gli interventi finanziati nel periodo 2021-2023 siano stati complessivamente tra i 150 e i 165 miliardi di euro».
Chiesa ha successivamente preso in esame le barriere allo sviluppo del mercato dell’efficienza, partendo dalla filiera, in particolare nell’ambito Home&Building. Dal punto di vista della realizzazione operativa, infatti, in questo mercato operano principalmente soggetti non specializzati (impiantisti, elettricisti, termoidraulici), poco sensibili nei confronti delle nuove tecnologie, che tendono a riproporre soluzioni tradizionali al cliente finale. «Proprio queste figure, insieme ai progettisti, rappresentano una barriera centrale allo sviluppo dell’efficienza energetica» ha dichiarato Chiesa. «La formazione a questo proposito è fondamentale. È necessario uno sforzo per educare questi soggetti affinché recepiscano maggiormente le innovazioni». Altro elemento che sottolinea la scarsa maturità del settore è quello relativo al rapporto di contrattualizzazione tra il fornitore di servizi energetici (es. ESCO) e l’utilizzatore finale perché predomina ancora il “chiavi in mano”. L’ultima barriera è rappresentata, infine, dal sistema di incentivazione, troppo articolato e complesso, che non consente a chi deve beneficiarne di avere un orientamento chiaro.
Quali sono infine le prospettive del mercato dell’efficienza energetica? «Come abbiamo visto, una parte rilevante dello sforzo di riduzione dei consumi è ascrivibile al settore residenziale», ha proseguito Chiesa. Il parco edilizio italiano, rappresentato per il 92% da edifici residenziali, è caratterizzato da una vetustà molto significativa: oltre il 60% degli edifici è in classe G e F e quasi il 70% è stato realizzato prima che venisse introdotta qualsiasi norma sull’efficienza energetica (la prima è stata la 373 del 1976). «Il peso del residenziale nel consumo complessivo di energia del Paese è pari al 36%. Se prendiamo in considerazione la distribuzione dei consumi, l’energia elettrica assorbe poco più di 1/5 della spesa di un’abitazione mentre quasi l’80% è rappresentato dal calore. La decarbonizzazione si sposerà quindi con un processo di elettrificazione, trasferendo la produzione di calore all’energia elettrica, prodotta nella misura massima possibile dalle rinnovabili».
L’attenzione all’edificio è stato l’elemento centrale del Target EPBD (Energy Performance of Buildings Directive) che impone degli obiettivi stringenti: l’abbattimento del 16% dei consumi degli edifici residenziali entro il 2030, ovvero la riduzione di circa 6,5 Mtep, da raggiungere con interventi realizzati da almeno il 43% degli edifici collocati nelle fasce energetiche più basse. Quali sono le stime di investimento per raggiungere questi obiettivi? «Se consideriamo il miglioramento minimo di efficienza che ci possiamo aspettare, parliamo di circa 100 miliardi di euro per gli edifici in classe G; se sommassimo gli interventi effettuati su immobili di altre classi energetiche, la cifra complessiva salirebbe a 170/190 miliardi di euro».
Il professore ha chiuso il suo intervento parlando del crescente interesse verso le tecnologie digitali registrato nel comparto dell’efficienza energetica, sia nell’industria sia nel settore Home&Building. «In questo ambito si assiste alla definizione del cosiddetto Smart Building, l’edificio gestito in modo intelligente e automatizzato per quanto riguarda il funzionamento e il comfort interno, e in grado di connettersi con il mondo esterno. Se osserviamo il mondo energetico, infatti, dobbiamo aspettarci frontiere quali le comunità energetiche, la Demand Response e il mercato della flessibilità energetica, realtà che transitano tutte attorno al concetto di Smart Building».
Transizione energetica e trasformazione digitale: due sfide complesse nei confronti delle quali è necessario mettere in campo scelte strategiche precise. A parlarne è Marco Nocivelli, vicepresidente Confindustria con delega alle Politiche industriali Made in Italy, che ha sottolineato l’importanza di investire al meglio le risorse disponibili spingendo sul fattore competitività, in primis sull’apparato industriale, facendo in modo che il Piano Transizione 5.0 diventi veramente attivabile. «È indispensabile semplificare la norma in modo che sia comprensibile e attuabile» ha affermato Nocivelli, che ha ribadito la necessità di snellire la complessità burocratica del piano e di investire anche nella formazione.
Su quali leve devono quindi puntare gli imprenditori per aumentare gli investimenti e la produttività? «La produttività italiana è costituita da due componenti, la parte industriale e quella della PA, ambito che presenta un segno negativo da moltissimi anni e in cui si fa pochissimo», ha spiegato il vicepresidente. «La digitalizzazione annunciata per la PA, che sta lentamente prendendo piede, può dare sicuramente un contributo. Sul fronte della digitalizzazione, Confindustria ha messo in piedi dei Digital Innovation Hub, centri dove le PMI possono chiedere una valutazione sulla maturità digitale e sulla cybersecurity». Secondo Nocivelli, le tre leve su cui spingere per la crescita sono dunque la formazione digitale, la sburocratizzazione e l’innovazione tecnologica.
L’evoluzione della distribuzione
Efficientamento energetico, cultura di impresa e formazione sono le parole chiave emerse nel corso del convegno, come ha osservato Maurizio Lo Re, presidente Angaisa, intervenuto nuovamente per parlare dell’andamento del mercato della distribuzione ITS. Dopo aver accennato alla significativa crescita di fatturato (+24,15%) avvenuta nel 2022, Lo Re ha presentato i dati del bilancio 2023, dove appaiono ancora un segno positivo (+0,20%) e un aumento del margine di intermediazione sul fatturato (29,70% contro il 29,40% del 2022). «I risultati del 2022 sono trainati dai diversi bonus edilizi e oggi parliamo di un mercato differente» ha affermato Lo Re, che ha analizzato i dati del confronto annuale dell’Osservatorio Vendite Angaisa: il 2023 ha registrato un +60,87% di variazione del fatturato sul 2020, un +18,98% sul 2021 e un -3,54% sul 2022. Il presidente si è poi soffermato sulla variazione del fatturato mese per mese: il mese di ottobre 2024 ha presentato uno spiraglio di positività (+9,98%) rispetto a ottobre 2021; ha registrato un -5,12% su ottobre 2022 e poi una leggera flessione di 2,83% rispetto al mese di ottobre 2023.
Dal confronto sui primi dieci mesi è emerso un dato positivo per il periodo gennaio-ottobre 2024 (+13,56%) sul 2021, sceso a -8,32% rispetto allo stesso periodo del 2022 e a -4,73% sui primi dieci mesi del 2023. Tutti numeri prevedibili secondo il presidente che, esaminando l’analisi suddivisa per regione, ha evidenziato come al momento le regioni trainanti siano la Calabria e la Campania mentre il resto sia tutto negativo.
Per quanto riguarda i dati sulla produzione del settore ITS, la variazione del fatturato era stata del +19,01% nel 2022 rispetto al 2021 e del -1,44% nel 2023 sul 2022. Entrando nello specifico delle categorie merceologiche, ceramica sanitaria, vasche e docce hanno registrato un -8,48% mentre i mobili e gli accessori per il bagno il -4,06%; pavimenti e rivestimenti sono scesi del -14,04% insieme alla rubinetteria (-5,85%). Anche la categoria del condizionamento e riscaldamento ha chiuso con un calo (-10,78%) mentre gli unici segni positivi sono stati per tubi, raccordi e valvole (+0,48%) e trattamento acque e pompe (+1,40%).
«L’effetto degli incentivi edilizi ha avuto sicuramente un impatto importante sulla nostra filiera» ha proseguito Lo Re. Secondo i dati forniti dall’Ufficio Statistica & Market Intelligence Anima, il numero di caldaie prodotte nel 2023 è sceso del -21,4% rispetto al 2022; significativo il calo dei pannelli solari (-28,9%) e dei gruppi frigo a gas (-28,3%). Il numero di mono e multi split ha registrato un -5,2% mentre le unità terminali un -7,9%. Ad aumentare sono stati invece i gruppi frigo ad acqua (+10%) e soprattutto il mercato della VMC (+37,1%). Considerando poi l’andamento della produzione di alcune tipologie di prodotto nel periodo gennaio-ottobre 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023, è emersa una leggera flessione del numero di caldaie e un calo molto rilevante dei pannelli solari (da 136.656 pezzi a 93.780). Per quanto riguarda le pompe di calore e i gruppi refrigeratori di liquido a compressione, la produzione dei modelli reversibili ha avuto una variazione del -25,4% mentre i sistemi ibridi hanno registrato un vero e proprio crollo (-63,3%). «L’andamento del mercato è chiaro e la distribuzione specializzata rappresentata da Angaisa è pronta a supportare il settore con la sua specializzazione» ha concluso il presidente.
Esaminando l’andamento del mercato ITS, Alberto Bubbio, Senior Professor di Economia Aziendale LIUC di Castellanza, ha parlato di “calma piatta”, dovuta anche alla maturità di tutti i mercati legati alla casa. «Per la distribuzione è più difficile trovare possibilità di crescita» ha affermato il professore. «Il mio suggerimento però non è tanto la crescita in termini di volumi ma di sviluppo di contenuti, di professionalità».
Bubbio ha analizzato i numeri della distribuzione ITS nell’ultimo ventennio – nel 2007 e nel 2021 il fatturato era di circa 8 miliardi di euro, mentre nel 2022 e nel 2023 ha registrato una forte spinta ed è arrivato a circa 10 miliardi – e ha parlato dei principali timori dei distributori, secondo i risultati della survey effettuata dall’Osservatorio Angaisa nell’ambito del Flash Report. La prima preoccupazione è la concorrenza (27,3%) perché il mercato è ancora caratterizzato dalla presenza di moltissime aziende ed è poco concentrato, anche a causa della particolare configurazione del territorio italiano. Il secondo timore, secondo l’11% dei distributori, è rappresentato invece dal personale, perché la generazione α, come ha confermato Bubbio, punterà molto di più sul virtuale che sul reale. «L’ipercompetizione è una caratteristica ancora molto importante della nostra economia e in più, osservando l’andamento lento dell’economia mondiale – dal 2017 siamo fermi al 3% –, la crescita infinita è finita e questo genera complicazioni» ha dichiarato il docente, che si è poi soffermato sul continuo cambiamento delle esigenze dei consumatori finali. La richiesta di prodotti e servizi caratterizzati da alta qualità a un prezzo allineato, presente già dalla fine degli anni’80, deve essere assolutamente rispettata. Non solo: dalla fine degli anni ’90, il cliente ha iniziato a chiedere tempi di consegna più brevi e una varietà di soluzioni sempre più ampia: da qui la necessità per il distributore di gestire al meglio l’aspetto logistico. Nel primo decennio del 2000, l’attenzione del consumatore si è concentrata sulla maggiore personalizzazione di prodotti dal contenuto sempre più emozionale. E negli ultimi dieci anni? «Il cliente cerca il Ben-essere più che il Ben-avere ed è sensibile alle tematiche della sostenibilità ambientale e sociale. Cresce inoltre lo sharing che si sostituisce alla proprietà» ha proseguito Bubbio.
Per rispondere a questa continua evoluzione, ogni distributore deve capire l’importanza di lavorare in team e imparare a far coincidere i prodotti oggetto di domanda da parte del cliente con quelli disponibili a magazzino. Il professore ha concluso il suo intervento sostenendo la necessità di saper coniugare al meglio efficienza e innovazione e di essere più attrattivi, offrendo ai propri collaboratori non solo remunerazioni adeguate ma soprattutto opportunità di crescita professionale.
Come mettere a frutto l’intelligenza artificiale
A prendere in considerazione le potenzialità, i rischi e le opportunità dell’intelligenza artificiale per aziende e lavoratori, è stato Giuliano Noci, professore di Economia e Marketing al Politecnico di Milano, che ha esordito con dati tutt’altro che positivi: «La produzione industriale è calata del 20%, l’automotive perde il 40% e le aziende sono in cassa integrazione».
Con questo scenario, che cosa significa essere distributori nel settore ITS di oggi e domani? Secondo Noci, il distributore, per continuare a essere in futuro un soggetto economico che prospera, non potrà più occuparsi semplicemente di distribuzione. I produttori stanno veicolando prodotti che parlano, sono connessi, trasmettono dati e dunque sono in grado di fare anche manutenzione predittiva, stabilendo una relazione diretta con l’utilizzatore finale, aspetto che porta alla disintermediazione, ovvero a saltare la distribuzione. Per questo motivo i distributori devono iniziare a concepirsi come soggetti che generano una funzione di utilità nei confronti degli stake holders, devono cioè prendere coscienza del fatto che il loro compito non è quello di veicolare i prodotti ma di risolvere le esigenze dell’ecosistema di mercato. «Il cambiamento richiesto al distributore è quello di diventare clientecentrico e di essere utile anche a installatori e progettisti. Questa trasformazione, in cui si innesta l’IA, è cruciale e rappresenta l’evoluzione del concetto stesso di distribuzione, prima intesa come prossimità geografica e ora come conoscenza del cliente e vicinanza ai suoi bisogni».
Tecnologie digitali e IA rappresentano una componente fondamentale per il mondo della distribuzione che, proprio attraverso i dati, può generare molto valore, per esempio per ottimizzare i flussi logistici di ultimo miglio. Non solo. L’intelligenza artificiale può essere utilizzata per preparare descrizioni di prodotto, veicolare raccomandazioni tarate sul profilo di consumo del cliente, definire il profilo di rischio finanziario, offrire servizi di assistenza tecnica e fare training agli installatori.
L’IA sarà dunque un nuovo grande sistema produttivo che richiede alcuni elementi imprescindibili, in primis la visione strategica, ovvero la presa di coscienza di essere customer center e, a seguire, l’esistenza di dati, che spesso le aziende non raccolgono e non integrano tra loro. «Bisogna passare dalle economie di scala sui volumi alle economie di scala sulle interazioni e sulla conoscenza, sui dati appunto!» ha proseguito Noci.
Nei prossimi anni i distributori ITS dovranno allargarsi per rispondere al meglio alle esigenze del cliente secondo la logica dell’one stop shopping, ovvero della semplificazione, che farà una grande differenza. Il distributore del futuro dovrà essere quindi un soggetto molto competente sul prodotto e in grado di trasferire al cliente questa conoscenza, che si deve tradurre nella capacità di integrare sistemi di offerta capaci di rispondere alle esigenze del cliente ma anche dell’installatore, che gioca un ruolo molto importante nei processi di acquisto.
Ultimo elemento imprescindibile per poter cavalcare il cambiamento è la fiducia del cliente, il più potente strumento che consente di allontanare dalla mera competizione di prodotto basata sul prezzo: una fiducia che deve essere conquistata giorno dopo giorno attraverso la conoscenza e la capacità di essere utili in fase d’uso. «L’IA è il punto finale di un viaggio, quello della trasformazione digitale, che porta a evolvere e a cercare un ruolo ancora più centrale nella filiera del futuro. Centralità che si conquista nel non vedersi come semplici distributori ma come fornitori di soluzioni di alto valore aggiunto».
Il tema delle strategie da intraprendere per affrontare il futuro digitale è stato ripreso da Massimo Minguzzi, CEO IdroLAB Srl, partner di Angaisa, che ha confermato la necessità per i distributori di avere a disposizione dati, in particolare di prodotto, da digitalizzare e integrare tra loro per migliorare e rendere più efficiente ogni processo e attività.
Come può un distributore gestire l’innovazione e arrivare alla digitalizzazione? Innanzitutto deve identificare le nuove tendenze, procedere sperimentando strategie di marketing e vendita su piccoli gruppi e a breve termine, da applicare e consolidare se riscontra risultati interessanti sugli investimenti. Il distributore deve quindi misurare i successi ottenuti utilizzando i dati raccolti e reiterare il ciclo PDCA (Plan- Do- Check- Act) per un miglioramento continuo dei processi e delle attività.
Per agevolare l’innovazione, inoltre, il distributore deve favorire delle esperienze di acquisto senza attriti, ampliando e centralizzando i canali di comunicazione per rendere l’ordine e l’aggiornamento più rapidi e accurati. Deve essere proattivo nei confronti del cambiamento e non subirlo passivamente; deve cavalcare l’evoluzione continua della digitalizzazione, creando un ecosistema digitale capace di favorire un flusso dati integrato e un’automazione tra le diverse funzioni aziendali.
Il CEO di IdroLAB ha proseguito ricordando ai distributori l’importanza di migliorare l’analisi dei dati, utilizzando sempre più l’intelligenza artificiale. I dati globali, cresciuti del + 67% negli ultimi due anni, sono destinati a crescere ancora di più; le informazioni di prodotto, caratterizzate tra il 2015-2020 da formati semplici e asset digitali standard, nel 2025 avranno formati più complessi come modelli 3D, realtà aumentata, specifiche digitali, e requisiti di qualità più elevata. Sul fronte della tracciabilità dei dati, dal 2025 ci saranno requisiti più rigorosi, soprattutto nell’UE, per esempio sulla conformità agli standard per il passaporto digitale dei prodotti e la sostenibilità.
In cerca di stabilità
Il convegno si è concluso con l’intervento di Lorenzo Bellicini, direttore Cresme, che è tornato a prendere in considerazione il tema dell’instabilità dei mercati dell’edilizia e dell’ITS. Nel 2023 il valore della produzione nel mercato delle costruzioni è stato di quasi 300 miliardi di euro complessivi, con un peso degli investimenti di circa 240 miliardi di euro e della manutenzione ordinaria di 50 miliardi di euro. Il valore di tutte le nuove costruzioni residenziali è stato di 23 miliardi di euro mentre il 74% del mercato è costituito da riqualificazione del patrimonio esistente.
Bellicini ha ricostruito l’andamento del mercato dal 2000 al 2019, evidenziando il crollo del 23% avvenuto nel 2008 e il raggiungimento del picco minimo nel 2014, dopo il quale il settore delle costruzioni ha iniziato a rimettersi in moto fino al nuovo calo (-4%) del 2020. Nel 2021 il mercato ha registrato un primo rimbalzo (+36,6%) seguito da un secondo (+26,4%) nel 2022. Segnali di crescita determinati dagli incentivi edilizi, Superbonus in testa che, secondo il direttore Cresme, ha avuto il vantaggio di risanare i bilanci della filiera delle costruzioni. Il 2023 ha presentato valori ancora alti (+4,5%) ma il mercato ha iniziato a cambiare e a fermarsi, registrando poi un calo nel 2024.
Cosa succederà nel periodo 2025/2028? «Si assisterà all’avvio di una nuova fase di mercato trainato dalle opere pubbliche, dove gli investimenti dello Stato arriveranno a 80 miliardi di euro (contro i 38 miliardi di euro del triennio 2016/2018 e gli investimenti compresi tra i 41 e 75 miliardi effettuati dal 2019 al 2024)» ha affermato Bellicini. Alla base dello scenario delle opere pubbliche ci sono più di 450 miliardi di opere strategiche prioritarie, inserite in parte nella programmazione del PNRR-PNC, che rappresentano un processo di modernizzazione del Paese. «Queste opere hanno cambiato il mercato. Prima avevamo appalti di opere pubbliche per 20 miliardi l’anno, che sono saliti a 40 miliardi dal 2019 al 2022, arrivando alla messa in gara di 92 miliardi nel 2022 e di 97 miliardi di euro nel 2023. E il 74% dei bandi di gara delle opere pubbliche ha a che fare con il mondo degli impianti».
Per quanto riguarda il mercato della riqualificazione, solo con il Superbonus, nel 2021 sono stati realizzati interventi per 16.004 milioni di euro, diventati 46.290 milioni nel 2022 e 41.661 milioni nel 2023. Tra gennaio e agosto del 2023 sono investiti 23.852 milioni di euro e nello stesso periodo del 2024 ancora 15.419 milioni. Nel 2024 i bonifici parlanti relativi ai lavori incentivati sono scesi al -13%. Considerando la storia di tutti gli incentivi in edilizia, dal 2013 al 2020 sono stati attivati 28 miliardi di euro annui di interventi di riqualificazione, cresciuti a 67 miliardi nel 2021 e a 94,6 miliardi nel 2022, scesi poi a 83,7 miliardi nel 2023.
Quali sono le prospettive? «Siamo di fronte a una terribile transizione demografica, determinata dalla crisi ambientale e dalla sostenibilità energetica, e a una transizione tecnologica legata alla digitalizzazione. Tutti siamo chiamati a confrontarci con questo scenario e con le innovazioni, tra l’altro in un quadro generale di grandi tensioni geopolitiche» ha evidenziato Bellicini. Si tratta di elementi che ci toccano da vicino: il tema dell’energia e dell’integrazione con l’edificio, l’attenzione del mondo delle costruzioni verso l’off-site, la sfida ambientale, la nuova scienza e i nuovi materiali, il passaggio dalla filiera competitiva a quella collaborativa. La digitalizzazione è già in atto in alcuni segmenti del mercato delle costruzioni, dove gli impianti, che rappresentano il 40% della spesa edilizia, sono sempre più protagonisti.
Sul fronte dell’innovazione, le famiglie, spesso con componenti anziani, faticano a scegliere tecnologie evolute, che risultano troppo costose per i giovani mentre gli installatori, che non sono nativi digitali, sono poco sensibili a queste tematiche.
«E poi c’è la grande partita dell’energia; lo scenario di mercato in Europa descrive quanto il mondo stia radicalmente cambiando su questo fronte. Basta osservare i dati sull’aumento della domanda di pompe di calore e sulle richieste di connessione per la produzione di energia in Italia, concentrate maggiormente al Sud Italia, a riprova che il mondo dell’energia si sta muovendo, determinando nuove posizioni di mercato e territoriali».
Secondo l’Energy Performance of Building Directive (EPBD), il 40% dell’energia ha a che fare con gli edifici, compresi quelli non residenziali, e l’80% è usata è per riscaldamento, raffrescamento e produzione di acqua calda sanitaria. Le strategie messe in campo finora per raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica sono state efficaci. E adesso? «Il primo step richiesto dall’Europa è il raggiungimento del 15%. Selezionando un patrimonio energivoro residenziale, definendo dove intervenire e facendo una stima sulla base del costo degli interventi sostenuto con il Superbonus, la spesa per arrivare a questo obiettivo è di circa 320 miliardi di euro, che scende a 250 con una stima ricalcolata sulla base della simulazione PNIEC e a circa 170 miliardi utilizzando il programma DOCET di Enea». Per raggiungere gli obiettivi servono dunque molte risorse: secondo Bellicini, è necessario attivare una strategia, tenendo conto che la strada degli incentivi sembra ormai sbarrata.
Il tema dell’innovazione, infine, si scontra con le criticità del mondo costruzioni, caratterizzato da bassa produttività, difficoltà di previsione, filiera di mercato e leadership frammentata, bassi margini e fragilità finanziaria. La filiera, inoltre, è inefficiente nei processi, resta competitiva anziché diventare collaborativa; investe poco in R&D, ha una cattiva immagine e difficoltà a seguire l’innovazione.
Il direttore Cresme ha concluso con una riflessione sul processo di elettrificazione: una vera e propria rivoluzione che si confronta con il tema della produzione di energia, i caratteri della rete distributiva, l’offerta di prodotti innovativi e il comportamento delle imprese di installazione, dei distributori e degli utenti finali. Senza dimenticare che la transizione digitale associa al mondo dell’energia elettrica quello della comunicazione, dell’informazione e dell’automazione disegnando nuove funzionalità ed efficienze.
«Di fronte a queste potenzialità, famiglie, progettisti e installatori mostrano ancora forti resistenze. Serve una nuova informazione tecnica ma non solo. La filiera deve essere in grado di dimostrare ai propri fruitori i miglioramenti portati dalle innovazioni: i primi che saranno capaci di farlo prenderanno in mano il mercato».